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L’«invasione» delle imprese cinesi

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Il fenomeno delle imprese cinesi in Italia desta molta curiosità e qualche volta anche preoccupazione perché manca chiarezza a riguardo. Le imprese cinesi ed i cinesi stessi sono alcune volte dipinti come i nuovi invasori, l’avanguardia della Cina nel mondo e quindi anche qui, come se ci fosse un disegno oscuro e pericoloso di Pechino dietro la nascita di ogni singola impresa cinese e non la determinazione o/e il desiderio di ogni persona di questo mondo di migliorare il proprio futuro, anche materiale, alla ricerca della felicità: diritto inalienabile dell’uomo.

Per capire meglio questo fenomeno farei innanzitutto una distinzione, che spesso non viene fatta. Da una parte le innumerevoli e piccole imprese aperte da immigrati cinesi residenti in Italia, circa 40 mila cioè 1% del totale delle imprese presenti in Italia. Dall’altra parte le grandi aziende cinesi, già operanti in Cina, che fanno grandi investimenti in Italia alla ricerca di mercato e di know how.

Le grandi aziende cinesi sono in un numero esiguo ma sono spesso realtà multinazionali che fanno investimenti all’estero creando lavoro. Quest’ultimo fenomeno è abbastanza recente, si parla soprattutto dagli anni 2000 in poi , mentre avvengono da decenni investimenti tra Paesi occidentali. È vero, siamo abituati a vedere imprese americane, europee e giapponesi ma non ancora cinesi e indiane oppure arabe, ma il mondo sta cambiando in fretta. La Lenovo ha comparto la IBM, il nuovo rilancio della Volvo è fatto con capitali cinesi ma l’anima rimane svedese, la Huawei è una importante azienda nel campo delle telecomunicazioni, leader nel suo settore che opera in molti Paesi tra cui l’Italia, dove crea migliaia di posti di lavoro per ingegneri, tecnici ed impiegati.

Le prime invece sono imprese a carattere familiare, spaziano dalla manifattura al commercio, all’ingrosso. Soprattutto attività commerciali con vetrina sulla strada cioè negozi al dettaglio, bar, parrucchieri, ristoranti, estetisti etc… Fatte queste premesse, vorrei subito far notare come ci siano ormai due nuove e pericolose leggende metropolitane che circolano tra la popolazione negli ultimi anni in Italia che non riesce a spiegarsi il motivo per cui nascano tante attività con proprietari di origine cinese.

La prima è che le aziende cinesi in generale godono di agevolazioni fiscali dovuti ad accordi bilaterali Pechino-Roma poiché la Cina possiede il 13% del debito pubblico italiano in modo da favorire le aziende cinesi. La seconda è che il Governo cinese stanzia un finanziamento di 200 mila euro per ogni famiglia espatriata che apre un’attività.

Sono ovviamente tutte e due false e vi spiego il perché. Sulla prima posso dire che nessun governo democratico in occidente può favorire in campo economico una comunità etnica residente sul proprio territorio piuttosto che un’altra con provvedimenti ad hoc come la tassazione agevolata, neanche il tanto criticato governo italiano e poi, scusate, a riguardo basterebbe contattare per chiarimenti un qualsiasi commercialista.

Sulla seconda si può dire che se il governo cinese finanziasse per 200 mila euro ogni famiglia che espatria dal paese di Confucio, in Cina non rimarrebbero i 600 milioni di contadini poveri che sopravvivono a stenti. Inoltre, con un po’ di pragmatismo e calcolatrice alla mano, se si moltiplicano 200 mila euro x 300 milioni di famiglie cinesi risulterebbe una cifra astronomica cioè 60000000000000 = 60 mila miliardi di euro. Paragonabile al PIL del mondo intero, cosa che parrebbe assurda anche agli irriducibili tra i complottisti.

Queste leggende nascono dall’ ignoranza: forse la ragione sta nel fatto che ci siamo dimenticati che la maggior parte delle imprese italiane sono piccole e familiari come le imprese cinesi. Scrissi tempo fa sempre sulla Città nuova che il segreto del successo delle imprese oltre all’ingegno è lavoro-sacrificio-risparmio ed ora aggiungerei famiglia. Stiamo assistendo al disgregamento dell’impresa familiare italiana, quindi a livello macroeconomico ne risentiamo, mentre alcuni media parlano di invasione dei cinesi.

È normale che i figli di commercianti italiani benestanti non vogliano fare gli stessi sacrifici dei genitori soprattutto in quelle attività dove non si guarda nè alle ore né alle festività, come accade per bar e ristoranti, ma piuttosto preferiscono fare gli avvocati, architetti, ingegneri o semplici impiegati. Un quotidiano nazionale qualche mese fa ha voluto gettare ombre, inculcare il dubbio ed il sospetto nel lettore verso le imprese italo-cinesi e verso i cittadini cinesi generalizzando sul “malaffare della invasione cinese”: è come sentir dire all’estero che tutti gli italiani sono mafiosi ed imbroglioni. Per caso hanno ragione? Se qualcuno compra è perché qualcun altro vende, gli affari e le trattative si fanno in due, il prezzo è più probabile che venga deciso dal cedente. Se, ad esempio, ci sono tanti centri massaggi è perché c’è la clientela; oppure, le merci tossiche cinesi entrano da porti italiani. Spero capiate cosa intendo.

Penso che sia inutile ed infruttifero dibattere sulle ombre perché opinabili mentre preferisco riportare i numeri, che sono dei fatti: le imprese cinesi in Italia sono circa 40 mila e cioè l’1% delle imprese in Italia che sono poco meno di 4 milioni. Come si può parlare di invasione o conquista sapendo inoltre che l’immigrazione si è praticamente arrestata? Qualcuno farà salti di gioia ma non c’è niente da gioire perché significa che non siamo più appetibili come Paese Italia. Piuttosto si dovrebbe gioire se gli imprenditori cinesi contribuiscono a creare lavoro per tutti vista la propensione all’impresa e al sacrificio, dato il bruttissimo periodo storico che stiamo tutti insieme attraversando. Creiamo appetibilità con infrastrutture e buon marketing per i turisti cinesi che saranno milioni nel prossimi anni: non è possibile che l’Italia, ormai lo sento anche come il mio Paese, sia dietro alla Spagna ed alla Francia come flusso turistico.

Non cerchiamo capri espiatori o spiegazioni semplicistiche rispetto a certi fenomeni ma guardiamo la realtà prestando attenzione e rivalutandola ogni volta con elementi ed esperienza nuova. Tiriamo fuori l’orgoglio, tiriamolo fuori rilanciando quello che di buono già abbiamo come paese: bellezze naturali, quindi città d’arte e storia, moda, buona cucina ed anche la meccanica, spesso dimenticata, dove nonostante tutto siamo ancora terzi nel mondo.

 


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